LA LETTERA DI MICHELE CHE SI È UCCISO A TRENT'ANNI PERCHÈ STANCO DEL PRECARIATO E DI UNA VITA FATTA DI RIFIUTI
L’abbandono dei giovani, completamente lasciati a se stessi e senza la possibilità di costruirsi un futuro, costituisce senza dubbio uno dei tratti più inquietanti dell’attuale società capitalistica occidentale.
L’abbandono dei giovani, completamente lasciati a se stessi e senza la possibilità di costruirsi un futuro, costituisce senza dubbio uno dei tratti più inquietanti dell’attuale società capitalistica occidentale. Una drammatica testimonianza ce ne viene dalla lettera di addio lasciata da Michele, giovane grafico trentenne udinese, prima di suicidarsi. Un’estrema scelta individuale le cui radici sociali sarebbe tuttavia da sciocchi voler negare, tanto più che sono stati gli stessi genitori di Michele a sottolineare il legame esistente tra la scelta disperata del loro figlio e la situazione di precarietà che stava vivendo.
Varie sono le responsabilità dietro a una situazione così drammatica, che vede oggi quasi il 40% dei giovani senza lavoro e il dilagare di occupazioni precarie prive di sicurezza sociale e individuale. In primo luogo quella di governi come l’attuale e quelli che l’hanno preceduto, composti da ministri le cui politiche sciagurate hanno ingigantito la precarietà sopprimendo il futuro di milioni di giovani. Ministri il cui archetipo pare essere quel Poletti che Michele non a caso cita nella sua lettera d’addio. A ciò si aggiunga il preciso disegno di distruggere il sistema educativo, perpetrato, da Gelmini in poi, per eliminare ogni spirito critico nelle giovani generazioni e trasformarle in un esercito di ottusi esecutori degli ordini superiori.
In secondo luogo quelle dell’Europa a dominanza germanica, le cui politiche economiche mirano a favorire i vecchi redditieri e non creano posti di lavoro per i giovani.
In terzo luogo quelle dei predicatori del neoliberismo, nefasta dottrina che è alla base delle disuguaglianze crescenti e della distruzione di ogni cultura e struttura dell’intervento pubblico, generalmente additate come causa di sprechi d preziose valute che andrebbero invece riposte nei forzieri della finanza, cosa che infatti avviene a discapito di tutti coloro che non rientrano nella ristretta minoranza dei ricchi detentori di patrimonio
Vi sono nel mondo miliardi di giovani cui il futuro è negato da questo sistema politico, economico e sociale. Molti di essi tentano, fuggendo da Paesi da tempo distrutti da tale sistema, tentano di raggiungere l’Occidente dove si illudono di poter avere un destino migliore, finendo spesso in condizioni di vera e propria schiavitù ovvero nelle maglie dell’economia criminale che costituisce l’altra faccia di quella ufficiale. Altri, come Michele, nati in Occidente, vi conducono un’esistenza grama per effetto della precarizzazione e della mancanza di lavoro, nell’impossibilità di costruirsi un futuro, di farsi una famiglia, di avere dei figli, di poter progettare e condurre un’esistenza minimamente dignitosa.
Nessun beneficio potranno trarre gli uni e gli altri dall’ultima invenzione del sistema capitalistico occidentale, il razzismo stile Trump che vende fumo e cerca di accaparrarsi il consenso degli uni alimentando la sofferenza degli altri. E pare significativo che i giovani, che hanno sconfitto in Italia la controriforma renziana, abbiano votato a grande maggioranza contro Trump negli Stati Uniti.
I problemi di fondo di cui soffriamo non sono peraltro solubili entro l’attuale asfittico orizzonte ideale della nostra classe dirigente profondamente degenerata. Mi limito a citarne i principali: 1) la demolizione dello Stato sociale, imprenditore e regolatore dell’economia, che priva gli Stati (e l’Unione europea) di ogni possibilità di progettare politiche pubbliche che pur sarebbero necessarie come il pane in una situazione del genere; 2) l’enorme rafforzamento del capitale, specie finanziario, a scapito del lavoro, sempre più bistrattato ed umiliato; 3) l’automazione dei processi produttivi che elimina posti di lavoro e beneficia esclusivamente il capitale.
Una risposta possibile, sulla quale sono in molti a chiacchierare ma pochi ad agire, almeno in Italia, è quella di un reddito di cittadinanza finanziato da un’imposta patrimoniale, che avrebbe un duplice effetto positivo, specialmente se abbinato all’intervento pubblico per l’effettuazione di lavori di pubblica utilità in tutta una serie di settori, dalla sistemazione del territorio alla tutela del patrimonio culturale, dalla protezione ambientale alla produzione artistica, puntando fortemente sul rilancio in tutti questi settori di una formazione mirata e della ricerca. In primo luogo tale scelta invertirebbe la tendenza alla precarizzazione e costituirebbe un segno concreto del fatto che il futuro dei giovani è di interesse comune. In secondo luogo essa, grazie a un cospicuo prelievo fiscale, frenerebbe la crescente disuguaglianza tra i redditi e tra i patrimoni, che esiste e aumenta.
Una scelta del genere presuppone però un cambiamento radicale della scena politica, da cui vanno estromessi definitivamente parassiti e servi del potere finanziario che la dominano oramai da troppo tempo. Occorre peraltro essere consapevoli del fatto che ci si potrà arrivare solo attraverso una lotta dura e di lunga durata. Ma prima si comincia e prima si arriva. Uno degli effetti positivi di tale lotta sarà anche quello di dare una prospettiva e un senso di vita a coloro che, come Michele, ne sono oggi privati in numero crescente.
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